L’aria inizia a pizzicare il viso.
Le giornate sono sempre più corte e il sole lo vediamo poco. La notte arriva prepotente nelle tarde ore del pomeriggio.
Ma in questo periodo, le notti sono meno buie.
Le città, le strade, le case si illuminano a festa. I sorrisi dei più piccoli animano le nostre giornate mentre il buon vino e il tanto cibo riscaldano i nostri animi.
Natale è una festa di condivisione. Una festa da passare con i più cari. Tenerseli stretti.
I pranzi infiniti con la famiglia.
Le tombolate belliche con gli amici fino a tarda notte.
“Ambo!”
“…”
Bene o male finisce sempre così. Ci si odia per un brevissimo istante, poi si sorseggia un bicchiere di liquore (versato con parsimonia nel vano e illusorio tentativo di digerire tutto quello che abbia tranguggiato).
“Terno!”
“Ma che davvero?!”
Il calore delle case. Il calore delle persone.
Per quanto vogliamo provare ad essere degli Scrooge, nel nostro animo qualcosa si smuove sempre.
Per anni ho provato a rifiutare questa festa, ma lo facevo per i motivi sbagliati. Anzi, direi che non la vedevo per quello che è davvero.
Siamo animali sociali. Il Natale ci aiuta a restare aggregati.
“Quaterna!”
“Ma sono stati chiamati solo SEI NUMERI. Come è possibile?! E tu, scuotilo meglio sto panariello!”
Personalmente, una delle cose che adoro è camminare di sera per le strade.
Osservare le persone.
Cercare di carpire i loro pensieri. I loro sorrisi.
Ricercare le verità dietro di essi o le bugie. La felicità o la tristezza nascosta.
Avvicinarmi ad un estraneo e conoscerlo. Donare un po’ di quel calore suddetto che evidentemente non riesce a percepire.
Siamo esseri sociali. Siamo animali che hanno bisogno del branco.
Anche se ci sentiamo immensamente soli.
“Cinquina!”
“Hai una Fiat Panda nera, vero?”
Sì, perché non per tutti vale la regola della felicità Natalizia.
A volte siamo immensamente soli.
O, se circondati da tante persone, continuiamo a sentirci immensamente soli.
E le luci ci abbagliano, ma notiamo anche l’oscurità che le circonda.
E quando la vedo quell’oscurità io fotografo. Fotografo le persone illuminate e quelle che camminano tra la luce e l’oscurità che le circonda.
Fotografo i loro chiaroscuri.
La loro tristezza.
La loro solitudine nascosta dietro un sorriso.
Gli sguardi si incrociano. Ci si riconosce. E la maschera cade. Si accenna un sorriso. Ma è più una smorfia, un tacito cenno di riconoscimento.
Poi si va avanti per le nostre strade.
Qualche volta si prova ad avere un contatto. A regalarsi a vicenda un attimo di calore umano vero.
E ogni anno faccio scorta di ritratti, stampati nella mia memoria e mi ritrovo a pensare,
“Quel ragazzo con la sciarpa viola che passeggiava solo senza guardarsi intorno, con lo sguardo chino sulla strada. Chissà cosa starà facendo adesso?”
“E quella ragazza con gli occhi lucidi, dal passo incerto, un po’ sbandata come se si fosse persa.”
E in ognuno di loro riconosco me stesso.
Una parte forse ora lontana. Una parte che probabilmente tornerà.
E mentre scrivo queste righe nella penombra del mio studio fotografico, in attesa di volti da fotografare, penso che quest’anno non ho voglia di rifiutare a nessuno un pizzico di calore natalizio.
La mia casa/studio è aperta a tutti. Un caffè o un bicchiere di vino non lo nego a nessuno. E perché no, anche una foto.
A chi conosco, a chi non conosco.
Agli amici nuovi. A quelli vecchi.
A chi mi vuole bene. A chi ha deciso di non volermene.
Buon Natale.
“TOMBOLA!”
“MA VAFANGUL!”